HYSTRIO trimestrale di teatro e spettacolo / Ottobre-Dicembre 2016

 

La scorsa estate, su una terrazza che si affaccia sul lago di Ohrid, festeggiamo la conclusione del Festival che si tiene nella più bella delle città macedoni, con il suo centro storico impreziosito da antiche case ottomane, chiese e giardini che sovrastano il lago più pulito d’Europa. Dejan Dukovski è lì, si materializza nella sua eleganza disordinata, sniker ai piedi, abito nero luccicante, chioma foltissima e marcatamente casual, ragazza bellissima al suo fianco e bicchiere di rakja che ripara dalla brezza gelida proveniente dalle montagne. Su quella terrazza c’è pure Aleksandar Popovski, stesso anno di nascita, stesse frequentazioni nell’Accademia delle Arti di Skopie, con Goran Stefanovski e Slobodan Unkovski come mentori comuni, identiche scarpe di ginnastica e, soprattutto, stesso sorriso arguto e stesso humour. Popovski qualche opportunità in più di farsi conoscere in Italia l’ha avuta, lo scorso 2 e 3 marzo al No’hma di Milano ha presentato The Empire Builders di Boris Vian, ritirando il Premio Internazionale Il Teatro Nudo dalle mani di Livia Pomodoro. Prima era già passato dall’Italia nel 2002 con Divo Meso (Carne selvaggia) di Goran Stefanovski (al Css di Udine) e nel 2006 con una sua regia del Don Giovanni, presentata al Teatro India di Roma. Col Css di Udine produsse anche nel 2003 La morte di Danton di Büchner, con attori italiani, fra i quali spiccava l’estro del nostro Roberto Latini, e ricordo pure la bella intervista di Andrea Porcheddu. Le immagini più vivide risalgono al settembre del 2012 quando, ai Cantieri Koreja di Lecce, invitai il suo spettacolo La vita del signor de Molière di Bulgakov. Un delizioso e spumeggiante gioco teatrale con brani di commedie dello stesso Molière (dal Tartufo a Don Juan), versi dalle poesie di Cyrano de Bergerac, suggestioni dalla vita reale di Bulgakov, fino al sorprendente finale con gli attori scatenati in un tripudio rock di chitarre, batterie e armonica, a eseguire Heroes di David Bowie con un indimenticabile Nikola Ristanovski, uno dei migliori giovani attori in Europa. È su quella terrazza di Ohrid che incontro per la prima volta Popovski, con turbamenti e ossessioni negli occhi del sorprendente Figurae Veneris Historiae di Goran Stefanovski, presentato qualche sera prima al festival di Ohrid. Mi racconta del suo desiderio di recuperare un vecchio cinema della città dove creare uno spazio per l’arte contemporanea, per «gli artisti che dedicano le loro vite a se stessi e a Dioniso », uno spazio per tutti quelli che pensano liberamente e vogliono creare un’arte moderna e autentica. Si tratta di Kino Kultura (Cinema Cultura), un bel progetto nel quale saremo direttamente coinvolti insieme al Teatro di Messina, anche grazie a un finanziamento del Balkan Art&Culture Fund. Dietro gli occhiali da liceale secchione, il volto di Alexandar Popovski svela una sincerità di sguardo impressionante alla ricerca di verità e profondità. Le piaghe del momento in Macedonia sono rappresentate dalla volgarità, dal primitivismo, dal culto del passato così diffuso tra gli artisti macedoni. «I teatri nazionali e la politica culturale del governo – dice – usano il passato e i temi storici per nascondere ciò che sta accadendo oggi. Tutti si occupano del “volo delle farfalle” e nessuno racconta il presente». Popovski ha già pronta la risposta quando gli chiedo delle sua affinità artistiche con Dukovski. «Vieni a Novi Sad in ottobre – mi dice – per vedere il nostro ultimo lavoro: The walking ghost, scritto da Dejan, racconta del modo in cui un intellettuale cerca di affrontare il primitivismo e la brutale società capitalistica. Sono affascinato da quanto poco la verità influenza le società. Nessuno è sconvolto più, nessuno si vergogna, eccitato o ispirato dalla verità. Tutti sanno chi è l’assassino, ma formalmente e legalmente trovano il modo di travisare i fatti».

di Franco Ungaro – collaborazione di Valeriya Kilibekova