Pubblichiamo l’intervento di Franco Ungaro, direttore di AMA-Accademia Mediterranea dell’Attore, direttore artistico del Teatro San Domenico di Crema e consulente del Teatro Nazionale Macedone di Skopje, pubblicato su Nuovo Quotidiano di Puglia del 26 marzo 2022. Buona lettura!

Ricordo che quando nel 2016 visitai il Gogol Center di Mosca, tra i più accreditati teatri d’innovazione in Russia, per incontrare il suo giovane direttore e regista Kirill Serebrennikov, lo trovai poco sereno e impaurito, mi colpì tanto la fretta con cui volle congedarsi da me.

 ‘Scusami-mi disse- ma non posso stare molto tempo qui’.

 Ne compresi il motivo solo qualche mese dopo quando i media diffusero la notizia che il regista, reo di aver criticato l’annessione russa della Crimea nel 2014 e di sostenere la comunità LGBT russa, era stato arrestato per reati chiaramente inventati secondo lo stile putiniano da Kgb.

Serebrennikov è ancora agli arresti domiciliari e da casa ha diretto due straordinari film, Summer e il recente Petrov’s Flu, presentato l’anno scorso al festival di Cannes. Tranne qualche rara eccezione, non ci fu nessuna vera mobilitazione a favore di Serebrennikov da parte del teatro italiano, preoccupato di non far saltare promesse di accordi economici con la Russia. Ho lì altri amici artisti, tutti contrari all’invasione dell’Ukraina,  in questi giorni non rispondono più alle mie mail e non smetto di chiedermi se ha senso ancora fare teatro. Viviamo un momento in cui la libertà degli artisti è minacciata e repressa in tante parti del mondo.

Quando nel marzo 2020 il regista Milo Rau, tra i più radicali della scena contemporanea, preoccupato come tanti degli effetti dannosi della pandemia, invitò 100 artisti di tutto il mondo a rispondere alla domanda “Why theatre?”,  Kirill Serebrennikov parlò dei teatri come ‘anticorpi contro le bugie’, contro le bugie e le illusioni che i sistemi del potere comunicano, compresi i poteri del teatro che esistono e persistono.

In quei mesi di lockdown tanti artisti avevano avvertito il bisogno di riconnettere teatro e vita, teatro e realtà e di cambiare paradigmi, abbandonare convenzioni, recuperare la dimensione e la forza utopica del teatro. Recuperare quell’altrove che a teatro vuol dire trasformazione, cambiamento dello stato delle cose, immaginazione di un futuro e di una realtà diversa e possibile. Parole e motivazioni che sono, da sempre ma non per tutti, alimento e fondamento del teatro.

Come ne stiamo uscendo invece dalla pandemia? Siamo ritornati all’agognata normalità, fatta di intrattenimento, spettacoli e spettacoli con i soliti testi buoni per ogni pubblico e per ogni epoca, senza che nulla sia realmente cambiato. E per di più ci ritroviamo dentro una nuova guerra così vicina e così crudele, con il teatro di Mariupol che diventa casa rifugio di chi scappa dalla morte e lì dentro chi si è rifugiato trova la morte e i bombardamenti. Questa guerra ci pone allora la stessa domanda e gli stessi perché. “Why theatre?”

Ed è la domanda che si fa l’amatissimo Petar Sellars lanciando il consueto messaggio annuale in occasione della Giornata Mondiale del Teatro  che quest’anno doveva essere dedicata ai giovani artisti emergenti, cioè ai creatori e costruttori di futuro, quel futuro che la guerra cancella dai nostri sogni e dai nostri orizzonti. Perché il teatro? Che bisogno c’è di teatro in un mondo e in un’epoca che rincorre velocemente la sua fine?

 “ Stiamo vivendo- scrive Petar Sellars- in un periodo epico della storia umana e i cambiamenti profondi e significativi che stiamo vivendo nelle relazioni degli esseri umani con se stessi, tra di loro e con i mondi non umani sono quasi al di là delle nostre capacità di comprendere, articolare, parlarne ed esprimerci”.

Un tempo insostenibile, con un pianeta avvelenato, la folle corsa al riarmo, le nuove e diffuse povertà, i nazionalismi assetati di vendette e di potere, le vecchie e nuove guerre con milioni di persone in fuga dai loro Paesi d’origine, i teatri sotto assedio e bombardati. Quale teatro richiede allora questa nostra epoca? E quali le responsabilità degli artisti qui ed ora?

 “ Il teatro della visione epica, dello scopo epico- continua Petar Sellars-, del recupero, della riparazione e della cura ha bisogno di nuovi rituali. Non abbiamo bisogno di essere intrattenuti… Questo è un tempo per una profonda rivitalizzazione delle nostre menti, dei nostri sensi, delle nostre immaginazioni, delle nostre storie e dei nostri futuri. Questo lavoro non può essere fatto da persone isolate che lavorano da sole. Questo è un lavoro che dobbiamo fare insieme. Il teatro è l’invito a fare insieme questo lavoro.

“Addio mascherine” avrebbe detto Carmelo Bene con le parole di Pinocchio, era questo il suo modo di dire ‘addio al teatro’, al teatro come spettacolo e come rappresentazione. Un universo , il teatro, che merita anche da parte di chi lo fa e chi lo vede, più consapevolezza, più immaginazione, più utopia.